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L’ora del lupo

(1968) di Ingmar Bergam è un film che tratta l’angoscia e il terrore degli incubi. È tratto da un manoscritto dell’autore intitolato I mangiatori d’uomini, riferendosi ai mostri che albergano la mente e che metaforicamente, la divorano.

Il film inizia con una donna che racconta ciò che è accaduto a lei e il marito; si guarda intorno, ha gli occhi colmi di tristezza e a volte guarda in camera, come se interrogasse lo spettatore che l’ascolta su ciò che è avvenuto e sta provando, ciò rende ancora più intensa l’emozione suscitata. I protagonisti sono una coppia, la quale decide di trasferirsi un’isola disabitata nella quale il silenzio è rotto solo dal vento incessante, Alma è incinta e Johan è un artista tormentato. Questi dettagli fanno pensare all’opera di Bergam come ad una confessione intima, infatti lui stesso con la protagonista del film (Liv Ullmann) vissero su un’isola, attendendo la nascita del loro figlio. Johan sembra in fuga, cerca rifugio nella solitudine ma ben presto si capirà che gli orrori da cui fugge sono dentro di lui, egli infatti ha delle vivide allucinazioni e le persone che lo perseguitano sembrano talmente reali che lo spettatore stesso non riesce più a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, confondendo allucinazioni, flashback, incubi e realtà. Il legame con Alma è così intenso, che in confini tra loro sono confusi, al punto che lei stessa inizia a vedere i fantasmi che tormentano il marito, scendendo nel baratro del suo delirio. In lei c’è il desiderio di aiutarlo e una devozione tale da rimargli affianco nelle sue interminabili notti insonni, nelle quali Johan la obbliga a rimanere sveglia insieme a lui per scampare al terrore che porta la notte. Il film è un crescendo di tensione fino ad arrivare ad un invito in un castello da parte di certi altri facoltosi abitanti dell’isola. La cena appare surreale e bizzarra, nella quale vi è una messa in scena teatrale dell’opera di Mozart le Nozze di Figaro. Il castello sembra rappresentare l’inconscio del protagonista, abitato da fantasmi del passato, pulsioni sessuali insoddisfatte, orrori infantili e l’incomunicabilità della solitudine. La sensazione che suscita questo film in bianco e nero è pari all’inquietudine data da certi oscuri incubi, il terrore e la solitudine di perdere i confini tra reale e il mondo allucinatorio. Il regista ci mostra i suoi demoni e i deliri nei quali può smarrirsi la mente umana. Egli stesso, riferendosi dall’insonnia che lo tormentava, descrive così quel momento: (…) Le ore peggiori sono quelle del lupo, fra le tre e le cinque. Allora arrivano i demoni: l’amarezza, la nausea, la paura, il disgusto, la collera. Non serve soffocarli, s’incattiviscono.

Quando gli occhi sono stanchi di leggere c’è la musica. Chiudo gli occhi e ascolto con concentrazione, lasciando via libera ai demoni: venite pure, vi conosco, so come funzionate, continuate finché non vi stancate, io non mi difendo. I demoni infuriano sempre di più, dopo un po’ ogni resistenza cessa e loro diventano ridicoli, allora scompaiono e io m’addormento per qualche ora.

(Ingmar Bergman, da “Lanterna magica” , ed. Garzanti, pag.205)

Sara Cacciapuoti

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